Donne al voto

2 giugno 1946, la “vera” festa delle donne…ma senza rossetto.

Dal film sulle suffragette inglesi alle nostre emancipatrici italiane

Scommetto che se dico “suffragette” molti sanno di cosa si parla… Ma il movimento delle donne emancipatrici  che volevano votare nasce in Gran Bretagna e non in Italia.

All’ inizio le britanniche erano state sostenute dal lavoro di alcuni esponenti politici e culturali  come John Stuart Mill che propose l’idea del suffragio femminile agli elettori del Regno Unito nel 1865. Da qui poi Emmeline Pankhurst fondò nel 1903 l’Unione sociale e politica delle donne (Women’s Social and Political Union – WSPU), con l’ intento di far ottenere alle donne il diritto di voto politico.

La battaglia per ottenerlo, è ormai note anche grazie al film “Sufragette” del 2015 diretto da Sarah Gavron, con  Carey Mulligan, Helena Bonham Carter, e Meryl Streep che vestiva i panni della Pankhurst e perché questo movimento è sui libri di storia.

 

E in Italia?

La situazione politica della nostra penisola era frammentata, in particolare fino al 1861: al nord gli Austriaci e poi i Francesi, i Savoia in Piemonte e al sud i Borboni.

L’Unità che si è andata a costruire dopo il 1861 era lenta e difficile, ma molte donne, soprattutto al nord, della borghesia iniziarono ad aderire ai movimenti per l’emancipazione e il diritto al voto.

 

Chi sono? Giuditta Brambilla, Carlotta Clerici, Annamaria Mozzoni e Anna Kuliscioff. Di quest’ultima forse conosciamo qualcosa di più, in quanto compagna per diversi anni  di Filippo Turati e perché, anche lei, è sui libri di storia. Chiamata la “dottora dei poveri”, una delle poche donne a studiare medicina e accudire i più bisognosi, a lei si lega il partito socialista, le rivendicazioni per le tutele della donna in fabbrica) e appunto Filippo Turati.

 

Locandina del film Suffragette

E le altre?

Sconosciute per lo più, forse la più nota è Annamaria Mozzoni, di cui sappiamo pochissimo della sua vita, ma molte degli scritti che ci ha lasciato, a partire da quei diritti, diritti, non tutele come sosteneva la Kuliscioff, per le donne e per le diverse petizioni scritte ai politici per ottenere il voto per le donne.

Dunque stiamo parlando di donne che si sono battute per l’emancipazione femminile dalla seconda metà dell’Ottocento fino agli inizi del Novecento, eppure sappiamo sempre poco della storia delle donne del nostre Paese, anche perché, in questo caso, l’avvento del Fascismo congelò la questione femminile e tutte le battaglie per l’emancipazione sostenute fino ad allora.

 

Dobbiamo attendere  il 1º febbraio 1945 quando l’Italia è ancora in guerra: il Consiglio dei Ministri dell’Italia Libera approvò il decreto legge Alcide De Gasperi-Palmiro Togliatti che prevedeva il diritto di voto esteso a tutti gli italiani che avessero 21 anni compiuti.

Tutti e tutte.

Rimasero escluse, fino al 1947, le prostitute “vaganti” chiamate così perchè lavoravano al di fuori delle Case Chiuse (vi ricordate? I bordelli, sì, esistevano eccome, ed erano non solo legali, ma anche molti frequentati, una “schiavitù legalizzata” dirà Annamaria Mozzoni tra i vari tentativi di chiuderli per emancipare la donna).

 

Ebbene, in Italia bisognerà aspettare le elezioni amministrative della primavera del 1946 nonché il successivo referendum del 2 giugno, per l’elezione dell’Assemblea Costituente e per il Referendum, appunto, che prevedeva di scegliere se tenere la Monarchia o optare per la Repubblica. In realtà, le italiane vennero chiamate alle urne già il 10 marzo di quell’anno, in occasione delle prime elezioni amministrative in 436 comuni. Non importava essere istruite o borghesi, bastava aver compiuto 21 anni.

 

Fu in occasione di quel 2 giugno 1946, quando il voto si estese a tutte le signore della penisola che alle donne fu vivamente consigliato di non stendere il rossetto sulle labbra, per non sporcare la scheda che doveva essere umettata e incollata, e pertanto se sporcata di rosso sarebbe stata invalidata.

Molti, a partire dalle stesse donne, pensarono che quello fu come un avvertimento:  ricordati che sei femmina e anche se ti è concesso questo diritto, il tuo posto è il focolare, e lì ritornerai,  non farti strane idee!

Per anni, infatti, alla donna era stata impedita un’istruzione adeguata e ciò che la poteva salvare da una vita di schiavitù, tra le mura domestiche o in una fabbrica, era un matrimonio più o meno blasonato, spesso un contratto, con tanto di dote che doveva fare da “garanzia” a vantaggio del marito (ma questa è un’altra storia, comprese tutte quelle leggi svantaggiose e terribili, una fra tutte l’abbandono del tetto coniugale).

Pertanto quella raccomandazione apparsa sul Corriere della Sera in occasione del voto del 2 giugno 1946, di non mettere il rossetto, era parsa più come un avvertimento rispetto ad un diritto ottenuto, come una sorta di “concessione” e non la celebrazione di una conquista vera e propria.

 

Quando l’8 marzo festeggiamo la festa delle donne, a discapito di tutti i femminicidi  di cui sentiamo e leggiamo sui giornali, una piaga che sembra non avere fine,  sarebbe bello ricordarsi che la “vera” data da celebrare è proprio la Festa della Repubblica, quel 2 giugno 1946 in cui le donne hanno faticosamente potuto esprimere un diritto sacrosanto, ma… senza rossetto!

 

 

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SARAH PELLIZZARI RABOLINI

Ho sempre scritto per quotidiani e webzine raccontando di libri, teatro e cinema: continuo a farlo qui, a modo mio, “Con i miei occhi”.